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Procedura
civile
per commercialisti
Prima parte – L’attività giurisdizionale, l’azione e la
domanda
L’art.24 comma 1
della Costituzione.
Stabilisce che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti
e interessi legittimi, quindi il diritto alla difesa è costituzionalmente
garantito ed è diritto inviolabile. L’attività giurisdizionale ha due
caratteristiche, la
strumentalità
(ossia è lo strumento per far rispettare i diritti, perché spesso il rispetto
non è spontaneo) e la
sostitutività
(perché il cittadino non può farsi giustizia da solo e
quindi nella tutela del diritto viene sostituito dal Giudice).
L’attività giurisdizionale ha una
funzione (a cosa serve) e una struttura (come opera), la funzione dell’attività
giurisdizionale in linea generale
è
la tutela dei diritti, quindi per poter
esperire un azione giudiziaria (in linea generale)
è
necessario un presupposto ossia la
lesione di un diritto,
dal quale scaturisce la tutela giurisdizionale ossia la protezione, la reazione
a un pericolo o un attacco al diritto medesimo.
Quindi se viene leso un diritto c’è una
lite ossia una posizione di contrasto tra
due soggetti, quindi
oggetto del processo
sono
i diritti,
da qui discende che il presupposto
del riconoscimento del diritto è
la prova
e di conseguenza
oggetto della prova sono i fatti.
a tal fine
l’art. 2697
cc
stabilisce che chi vanta un diritto lo deve provare e
l’art. 115 del cpc
che le prove devono essere fornite dalle parti.
Quindi le prove sono supportate dai fatti, abbiamo
sostanzialmente
Fatti principali
e Fatti secondari, i fatti principali
sono immediatamente rilevabili
(dalla documentazione) i
fatti secondari
invece si desumono da un
sistema di presunzioni.
Relativamente ai fatti principali, i
fatti costitutivi
del diritto devono essere provati dall’attore
(ossia colui che è ricorso al giudice), mentre i fatti estintivi, impeditivi o
modificativi, devono invece essere provati dal convenuto (ossia la parte
resistente)
Le presunzioni sono definite dall’art.
2727
del cc che stabilisce che “Le presunzioni sono le
conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un
fatto ignorato”, sono di due tipi presunzioni semplici e presunzioni legali, l’art.
2729 del cc stabilisce che “Le presunzioni non
stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice [116 c.p.c.], il
quale non deve ammettere che
presunzioni gravi, precise e
concordanti
.Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui
la legge esclude la prova per testimoni”.
Nel processo tributario non sono ammesse le prove
testimoniali e di conseguenza non dovrebbero nemmeno essere ammesse le
presunzioni semplici.
Ma cosa significa fatti gravi precisi e concordanti nel
diritto tributario? Negli anni, la giurisprudenza di legittimità ha precisato
che:
Per le presunzioni semplici i requisiti possono essere cosi
di seguito dettagliati:
“gravi”
sono gli elementi presuntivi oggettivamente e intrinsecamente consistenti e,
come tali, resistenti, alle possibili obiezioni;
fatti non medie matematiche, quindi studi di settore e redditometro, ossia tutti
gli accertamenti parametrici non costituiscono prova di evasione, ma la gravità
invece viene dimostrata dall’omesso rilascio ripetuto dello scontrino fiscale
nell’anno di accertamento ad esempio.
“precisi”
sono quelli dotati di specificità e concretezza e non suscettibili di diversa,
altrettanto o più verosimile interpretazione; In verità una presunzione non può
essere "precisa". La precisione è propria delle scienze matematiche, ma non può
esserlo di una presunzione, la quale, semmai
deve tendere a
un elevato grado di probabilità del fatto presunto,
“concordanti”
sono quelli non confliggenti tra loro e non smentiti da dati ugualmente certi.
La
"concordanza"
presuppone che gli elementi
presuntivi siano molteplici (almeno due) e, quindi, convergenti tra di loro.
La Cassazione, ha più volte stabilito, tuttavia, che anche un unico elemento
presuntivo, purché particolarmente grave, univoco e coerente può soddisfare i
requisiti dell'articolo 2729 del codice civile, ma tale interpretazione non è
affatto condivisibile, la concordanza presuppone più fatti.
Le
presunzione legali
invece, hanno una forza persuasiva superiore, a tal
punto che dal fatto noto si risale al fatto ignorato automaticamente, onerando
con
l’inversione dell’onere della prova
il soggetto a sfavore del quale è posta la
presunzione di dimostrare il contrario.
Non tutti i fatti devono essere provati; infatti
non devono essere provati:
I Fatti Ammessi:
I fatti che le parti in modo pacifico ammettono in modo esplicito o implicito
I Fatti non
specificatamente contestati:
ai sensi dell’art. 114 del cpc come modificato dalla L.69/2009 entrata in vigore
il 04/07/2009 che ha codificato il principio di non contestazione già elaborato
dalla Giurisprudenza Cass. Sez. U,23/01/2002 n. 761, in virtù del quale i fatti
non specificatamente contestati si hanno per acquisiti
I Fatti Notori:
I fatti che rientrano nella comune esperienza.
Le prove poi si classificano con riferimento al processo in
prove precostituite e prove costituende:
Le
prove precostituite: presentate prime del
processo, sono soggette alla valutazione postuma del Giudice sono ad esempio le
prove documentali.
Le prove costituende:
Sono le prove che invece si formano nel processo, sono valutate preventivamente
dal Giudice e sono proposte su istanza di parte e dopo aver superato il
giudizio di ammissibilità e
rilevanza del Giudice, con il
giudizio di ammissibilità
accerta che
quel tipo di prova sia ammesso
dalla legge, ad esempio la prova testimoniale
non è ammessa per i
contratti, i pagamenti e nel processo tributario, il giuramento decisorio non è
ammesso per i diritti indisponibili. Con il giudizio di rilevanza il Giudice
accerta che quel tipo di prova sia idoneo fatti principali o secondari
controversi, salvo non operi il principio di non contestazione.
I presupposti processuali
Ossia i requisiti che devono esistere prima che un determinato atto (la domanda)
produca effetti.
Presupposti dell’esistenza del processo:
ossia l’esistenza di un giudice che abbia giurisdizione in senso ampio, ovvero
un
Giudice che abbia il potere di
Giudicare
Presupposti di validità e procedibilità del processo:
ossia la
competenza del giudice
(effettivo potere di decidere, per materia, per
valore e per territorio)
e la
legittimazione processuale
dell’attore
(potere di compiere atti processuali).
Cosa succede se sbaglio giudice? E’ rimediabile tramite
l’istituto della
Traslatio Iudicii
che consente in virtù del principio di prosecuzione
del processo davanti al giudice munito di giurisdizione, la possibilità di
riassumere la causa davanti al giudice giusto.
Esiste un altro ordine di requisiti che non sono presupposti perché la loro
esistenza non è richiesta prima della proposizione della domanda, ma della
domanda stessa costituiscono requisiti intrinseci con riguardo al suo
contenuto: le condizioni dell’azione.
Le condizioni dell’azione sono
tre:
a)
Possibilità giuridica
(o esistenza del diritto): che consiste nella
esistenza di una norma che contempli in astratto il diritto che si vuol far
valere.
b)
Interesse ad agire
(art. 100 c.p.c.): l’interesse per cui si
agisce o contraddice deve essere concreto (ossia deve sussistere
concretamente) ed attuale (ossia deve esistere al momento della pronuncia
del giudice). Mancando l’interesse ad agire, il giudice non avrà motivo di
portare il suo esame sul merito, ma dovrà arrestarsi al rilievo di tale
difetto: difetto di interesse e, quindi, difetto di azione.
c)
Legittimazione ad agire:
consiste nella corrispondenza tra colui che agisce (attore) ed il titolare
del diritto fatto valere, e tra colui contro il quale si agisce (convenuto)
ed il soggetto che ha violato tale diritto. Si possono far valere soltanto
quei diritti che si affermano come diritti propri e la cui titolarità
passiva si afferma in capo a colui contro il quale si propone la domanda.
Quindi “un soggetto agisce in nome proprio per un proprio diritto”. Tale
condizione, si può desumere, indirettamente, dall’art. 81 c.p.c., secondo
cui “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far
valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”. Si parla di
legittimazione straordinaria
o sostituzione processuale. Un esempio di
legittimazione straordinaria è l’azione surrogatoria, prevista dall’art.
2900 c.c., a favore del creditore nel caso che il debitore trascuri di far
valere i propri diritti.
Principio della domanda
e poteri del giudice
Il processo civile si instaura su domanda di parte: è necessario che sia il
titolare del diritto soggettivo a proporre la domanda all’organo
giurisdizionale competente (art. 99 c.p.c. “Principio della domanda”).
Nel processo entrambe le parti si confrontano attuando ciascuna il proprio
diritto di difesa. Il principio del contraddittorio (art. 101 c.p.c.), è una
manifestazione del “diritto alla difesa” ex art. 24 Cost., e risponde
all’esigenza di garantire coloro che dovranno subire le conseguenze della
sentenza un ruolo attivo che gli consenta di far valere le proprie ragioni.
Il giudice non
può decidere sulla domanda se non è stata data al convenuto la possibilità
di intervenire (ad esempio con la notificazione dell’atto di citazione).
I
Principi del processo
Principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.): il giudice deve pronunciare ex art. 112 c.p.c. su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti. Per cui se non chiedete non vi sarà concesso, se non chiedete la riduzione in subordine dell’annullamento il giudice non può concedervelo, se non chiedete la sospensione il giudice non può concedervela
Pronuncia secondo
diritto: nel
pronunciare la decisione il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo
che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità (artt.
113, comma secondo, e 114 c.p.c). Il giudice, inoltre, è libero di scegliere
la norma da applicare al caso, anche fuori da quelle indicate dalle parti (“iura
novit curia”Il
Giudice conosce le leggi).
Principio del dispositivo
(art. 115 c.p.c.): al potere di porre la domanda si aggiunge l’onere per
l’attore di fornire la prova dei fatti che giustificano le ragioni della
domanda, così come il convenuto ha l’onere dell’eccezione. La raccolta del
materiale probatorio è, quindi, nella disponibilità delle parti, principio
che si sintetizza nell’antica massima latina “iudex
secundum alligata e probata iudicat debet”, il
giudice deve giudicare secondo le cose allegate e provate (salvo i
casi in cui il giudice d’ufficio può disporre l’assunzione di mezzi di
prova).
Valutazione delle prove
(art. 116 c.p.c.): il giudice deve valutare le prove secondo il suo
prudente apprezzamento (“prova
libera”, es.
prova testimoniale), salvo che la legge disponga altrimenti (“prova
legale”, es.
atto pubblico).
Gli elementi distintivi dell’azione - individuatori
delle azioni
Gli elementi individuatori dell’azione si distinguono in:
- elementi
soggettivi (o personae): soggetto attivo (attore),
colui che propone la domanda ossia che fa il ricorso , e soggetto passivo (convenuto), colui contro il quale la domanda è proposta;
- elementi
oggettivi: oggetto (o
petitum) e titolo (o causa
petendi).
Il petitum (la domanda che si fa al giudice)
si
distingue in “mediato”, il bene della vita che si chiede al convenuto (es.
somma di denaro che si chiede a titolo di risarcimento danni), ed
“immediato”, il provvedimento che si chiede al giudice di emanare (es.
sentenza di condanna al risarcimento dei danni subiti).
Causa petendi
significa ragione del domandare
(il contenuto del ricorso o meglio l’esposizione dei fatti e degli elementi
di diritto che stanno a fondamento della propria domanda), e, quindi,
ragione giuridica o titolo giuridico, su cui la domanda si fonda.
Può accadere
che tra due o più azioni vi sia comunanza di tutti od alcuni degli elementi
identificativi dell’azione (soggettivi ed oggettivi). A seconda di quali
elementi abbiano in comune è possibile individuare tre distinte figure
processuali: litispendenza, continenza e connessione.
Litispendenza:
La
litispendenza (art. 39, comma primo, c.p.c.) è la situazione che si
determina quando due o più cause identiche (ossia che abbiano tutti e tre gli
elementi identici: stessi soggetti, stesso oggetto e stesso titolo)
pendono
dinanzi a giudici diversi. Ai
sensi del citato comma primo, è
competente il giudice adito per primo
mentre quello adito successivamente, “in qualunque stato e grado del
processo, anche d’ufficio, dichiara con sentenza la litispendenza e dispone
con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo”. Per giudice adito per
primo, si intende il giudice “preventivamente adito”. Il criterio della
prevenzione (art. 39, comma terzo), si determina in base alla notificazione della
citazione; pertanto, si considera adito preventivamente, il giudice il cui
relativo atto di citazione sia stato notificato per primo. Qualora
la stessa causa viene proposta per la
seconda volta di fronte allo stesso giudice, questi ne ordina la riunione
(art. 273 c.p.c.).
Continenza:
La
continenza di cause (art. 39,
comma secondo), si verifica in presenza di
due cause che hanno in comune i soggetti e la
causa petendi, ma il petitum
di una è più ampio in modo da “contenere” il petitum
dell’altra
(ad
es.: in un processo si chiedono tutte le rate di un mutuo ed in un altro
processo se ne chiede una sola). Se il giudice preventivamente adito è
competente anche per la causa proposta successivamente, il secondo giudice
con sentenza deve dichiarare la continenza e fissare un termine per la
riassunzione della causa davanti al
primo giudice (criterio
della prevenzione).
In caso contrario - ossia quando il primo giudice non è competente anche per
la causa proposta successivamente - è quest’ultimo ad emanare la sentenza di
continenza ed a fissare un termine per la riassunzione davanti al secondo
giudice (criterio
dell’assorbimento).
Sia la sentenza sulla litispendenza, sia quella sulla continenza possono
essere impugnate con regolamento necessario di competenza
l giudice che ravvisa la continenza
tra una causa propostagli ed altra precedentemente instaurata dinanzi ad un
giudice diverso (art. 39, comma 2, c.p.c. ), deve verificare se sussiste la
competenza di quest'ultimo (per materia, territorio inderogabile e
derogabile, e valore) non solo in relazione alla causa da rimettergli, ma
anche se detto primo giudice è competente per la causa su cui è stato
preventivamente adito.E’ questo il principio di diritto in tema di
continenza di cause enunciato dalle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione SSUU Ordinanza 13
luglio 2006, n.15905.
Connessione: La terza ed ultima figura è la connessione, che consiste nella coincidenza di taluni, ma non di tutti, gli elementi di identificazione di due o più azioni. La connessione tra le azioni può dipendere sia dalla comunanza di entrambi gli elementi soggettivi (connessione soggettiva) e sia dalla comunanza di almeno uno degli elementi oggettivi, stesso petitum e/o stessa causa petendi (connessione oggettiva). La connessione soggettiva si verifica quando due o più cause hanno in comune entrambi i soggetti (es. art. 104 c.p.c. “Pluralità di domande contro la stessa parte”). In tal caso le cause possono essere proposte davanti allo stesso giudice competente, purché il cumulo delle domande (c.d. cumulo oggettivo) non ecceda la sua competenza per valore.La connessione oggettiva si distingue, a sua volta, in connessione oggettiva propria e connessione oggettiva impropria: è “propria” quando le cause hanno in comune l’oggetto o il titolo; “impropria” quando la decisione delle cause dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni di diritto (è detta impropria perché le cause connesse non hanno alcun elemento oggettivo in comune). La connessione oggettiva, a sua volta può dar luogo al c.d. cumulo soggettivo ossia pluralità di parti nel processo: pertanto, possibilità per più soggetti di agire, ossia assumere la qualità di attori, insieme, nello stesso processo, o, viceversa, possibilità per l’attore di convenire nello stesso processo più persone. Tale fenomeno della presenza di più parti nello stesso processo si chiama litisconsorzio facoltativo, art. 103 c.p.c.Ai sensi dell’art. 40, comma terzo, c.p.c., la connessione può essere rilevata anche d’ufficio, non oltre la prima udienza (183 c.p.c.). La sentenza con la quale il giudice dichiara la connessione è impugnabile con il regolamento necessario di competenza.
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