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Inerenza dei Costi, continua l'assalto dell'entrate per recuperare risorse, come evitare spiacevoli sorprese, i criteri ed i parametri per valutare l'inerenza del costo all'attività d'impresa o professionale
Ultimo aggiornamento
15/01/2018
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Prima di tutto dobbiamo capire chi deve provare l’inerenza del costo all’attività d’impresa o professionale; A tal fine si rammenta la sentenza della Corte Costituzionale la n.109/2007 che ha stabilito, che la pretesa fiscale va provata dal fisco, la modificazione o l’estinzione della pretesa oppure l’inerenza del costo va provata dal contribuente.
Quindi, l’inerenza del costo all’attività d’impresa va provata e quindi dimostrata dal contribuente.
A mio parere ai fini di evitare problemi, prima di tutto bisogna prepararsi a dimostrare che quel determinato costo sia relativo all’attività d’impresa (es. un omaggio di vino, dimostrare che il prodotto è stato effettivamente consegnato al cliente).
Poi dimostrare che tale costo ha l’attitudine di far produrre utili e di essere congruo e non sproporzionato rispetto al vantaggio che ci sia aspetta in termini di utili.
La Cassazione ha sempre formulato una tesi molto restrittiva, stabilendo che il principio di inerenza si basa sulla relazione tra due concetti, la spesa e l’impresa, per cui il costo risulta deducibile non tanto se è specificamente connesso ad una determinata componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili (Cass. n. 12168/2009, 7340/2008): In base a questa interpretazione, l’inerenza è formulata in termini di idonietà, anche solo potenziale, di arrecare, direttamente o indirettamente, un’utilità all’impresa, richiamandosi a quanto stabilito dall’art. 109, comma 5 del TUIR (cfr. Cass. 10914/2015).
La Cassazione Con Ordinanza n. 450 del 11/01/2018 che ha ampliato il bacino dell’inerenza” dei costi, stabilendo che per rientrare in quest’ultimo essi non devono necessariamente portare utilità o vantaggi all’impresa, essendo sufficiente che siano correlati ad essa anche potenzialmente o in prospettiva futura.
L’art.109 comma 5 del Dpr 917/86 (Tuir) stabilisce che sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito I giudici della Suprema Corte, hanno stabilito, per la prima volta in maniera espressa, che il principio di inerenza, a cui spesso si richiama l’Amministrazione finanziaria per disconoscere la deducibilità dei costi dichiarati dai contribuenti dal reddito d’impresa, non è insito nell’art. 109, comma 5 del TUIR, secondo il quale “le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”: tale disposizione, secondo il Giudici di legittimità si riferisce: Al diverso principio dell’indeducibilità dei costi relativi ai ricavi esenti (ferma l’inerenza), cioè alla correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili.
L’inerenza deve essere considerata esclusivamente in termini qualitativi, a prescindere da utilità e vantaggi apportati dal costo, nonché dalla sua congruità, ciò scaturisce anche dai concetti aziendalistici e civilistici di spesa, che non sono necessariamente legati all’elemento dell’utilità, essendo configurabile quale costo anche ciò che, nel singolo caso, non reca utilità all’attività d’impresa. Non si riesce a capire se secondo la Cassazione il principio di inerenza riguarda soltanto la dimensione qualitativa del costo ritenendo contemporaneamente l’art. 109, comma 5 del TUIR applicabile esclusivamente al diverso principio dell’indeducibilità dei costi relativi a ricavi esenti, oppure il contribuente dovrà continuare a valutare ai fini dell’inerenza se un costo sia sproporzionato o incongruo ai ricavi o ai redditi .
scarica l'ordinanza della Cassazionein originale n. 450.2018
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