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Il Ne bis in idem Europeo e il difficile riconoscimento dei diritti europei in materia tributaria
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Che cos’è il ne bis in idem europeo? E’ il divieto di sanzionare due volte un soggetto per la stessa fattispecie. L'art. 4 del Protocollo 7 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, sottoscritto il 22.XI. 1984, sancisce il "Diritto di non essere giudicato o punito due volte", In Italia il sistema sanzionatorio è talmente esagerato, che secondo i giudici europei visto l’alto grado di afflittività delle sanzioni amministrative a prescindere dalla denominazione (amministrativa, tributaria, etc..) tali sanzioni hanno carattere penale e pertanto lo stesso soggetto non può scontare un sanzione amministrativa e una penale. Il progressivo aumento delle sanzioni tributarie ormai ha superato il limite della ragionevolezza e della capacità contributiva, per uno stesso fatto il contribuente italiano viene colpito da numerose sanzioni. Le sanzioni amministrative tributarie che arrivano al 240% dell’imposta e considerato che la tassazione supera ampliamente il 50% del reddito imponibile (che non è quelle reale, ma quello calcolato dal fisco) la sanzione reale è la chiusura dell’attività. La sanzione penale tributaria, che comporta non solo conseguenze sulla fedina penale del contribuente, impedendogli di partecipare a gare pubbliche, ma comporta un notevole aggravio di spese, affrontare un processo penale non è economico, tenendo anche presente dell’assurdità che non è possibile usufruire del patteggiamento senza aver preventivamente pagato le imposte. La chiusura dell’esercizio, come ulteriore sanzione, si pensi all’esercente che per tre volte viene sanzionato per omessa emissione dello scontrino fiscale. Il raddoppio dei termini ampliamente trattato come un ulteriore sanzione, strumento che ha permesso all’agenzia delle Entrate di perpetrare ogni genere di abuso. Infine ci sono le misure cautelari come il sequestro preventivo e la confisca per equivalente, la confisca ha natura sanzionatoria perché non prevede alcuna connessione con il profitto del reato, né la colpa (Cassazione a SS.UU. sentenza n. 31617/2015). Il divieto della doppia sanzione è già presente nel nostro ordinamento, ma non rientra nel diritto vivente, il problema è stato portato all’attenzione dei nostri governanti dalla Corte di Giustizia Europea, che con la sentenza della CEDU del 4 marzo 2014 Grande Stevens ha finalmente reso operativo questo divieto. Le norme europee si applicano in forza dell’art. 10 della Costituzione, che stabilisce che gli accordi internazionali prevalgono sulle norme interne. L'art.10 della Costituzione italiana afferma: “L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. Il discorso si fa più complesso in riferimento a natura e valore delle norme pattizie. In via preliminare possiamo tranquillamente dire, che in virtù dell’art. 10 della Costituzione, le norme europee prevalgono su quelle nazionali. Il problema è stabilire in che modo far valere i propri diritti e come si devono muovere i giudici e i funzionari pubblici, alla luce delle varie sentenze della Corte di giustizia e della Corte Costituzionale. Nonostante i loro interventi, si sente ancora dire dai giudici della Cassazione o da alti dirigenti pubblici, che bisogna ricorrere alla Corte Costituzionale o che nessuna norma del diritto interno prevede che…o per ultimo l’assurdità delle assurdità, che il contraddittorio preventivo obbligatorio si applica soltanto ai tributi armonizzati ossia a quelli europei (iva e dogane). Chi sostiene tutto ciò o ignora il diritto europeo oppure fa finta di non saperlo per motivi di gettito. Con l’aumento esponenziale degli obblighi e dei diritti europei, in Italia si sta verificando un fenomeno a dir poco ingiusto, ossia quando si tratta di massacrare i contribuenti (vedi l’abuso di diritto) le norme si applicano direttamente, senza distinzione tra tributi nazionali e tributi comunitari e senza problemi sia da parte dei funzionari pubblici sia da parte dei giudici, quando si tratta di diritti (contraddittorio obbligatorio) quest’istituto non si applica per i tributi nazionali, bisogna dire al giudice quale sarebbe stato il danno subito Due pesi e due misure, stanno creando una disparità di trattamento tra i cittadini europei, perché il cittadino Italiano deve solo sottostare a tutti gli obblighi eurounitari e quando si tratta dei diritti deve ottenerli in maniera limitata e tardiva? Pensate che l’obbligo del contraddittorio preventivo in materia tributaria è stato riconosciuto dai Giudici europei con sentenza della Corte di Giustizia Europea (causa C-349/07) nel mentre in Italia il diritto è stato riconosciuto solo con le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 19667/2014, poi riveduta w limitato ai soli tributi armonizzati per motivi di gettito dalle Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 24823/2015 La ‘discriminazione inversa’ si verifica quando cittadini e imprese nazionali sono svantaggiati rispetto a cittadini o imprese di un altro Stato Membro, ed é un prodotto collaterale dell’integrazione europea. La discriminazione inversa è dunque un prodotto collaterale dell’integrazione europea, e rientra nell’ambito di competenza del diritto europeo. Stabilire che in Italia i diritti europei spettino solo per i tributi armonizzati è una caso eclatante di discriminazione inversa.
Le possibili soluzioni interpretative. A mio modesto parere, i giuristi e i giudici della Cassazione, per poter risolvere la problematica applicativa prospettata nel precedente capitolo devono, valutare la questione sia sotto l’aspetto dell’ordinamento nazionale, in particolare quello Costituzionale, sia sotto l’aspetto del diritto dell’unione europea. Sotto l’aspetto del diritto nazionale, per poter risolvere la questione non si può non analizzare la questione dal punto di vista del principio di imparzialità previsto dall’art. 97 della Costituzione. Da quando lo Stato è diventato parte nei processi, ossia parte che gode di diritti ed è obbligata a doveri perfettamente in modo equivalente con il cittadino, ci si era posto il problema, se il principio di imparzialità potesse essere applicato. La domanda, non poteva non trovare una risposta affermativa, il principio è imposto dalla carta costituzionale e pertanto prevalente su leggi ordinarie. L’art.97 impone alla pubblica amministrazione Buona andamento e Imparzialità. Per Buona andamento s’intende l’obbligo dell’amministrazione di ordinare l’amministrazione al fine primario ossia il perseguimento dell’interesse pubblico. Per Imparzialità invece s’intende il limite al perseguimento del pubblico interesse. Vediamo di capire quali sono i limiti scaturenti dal principio di imparzialità: Il primo limite è costituito dall’obbligo di rendere immune la Pubblica Amministrazione da perseguimento di interessi personali- Il secondo limite invece è l’obbligo di eliminare la politicità indotta, ossia l’infiltrazione nella Pubblica Amministrazione dei cosi detti uomini di partito. Il terzo limite trova la sua identità nell’obbligo di perseguire l’interesse pubblico e non interessi particolari. Ciò premesso l’imparzialità non deve limitarsi all’indifferenza e all’estraneità, ma deve concorrere ad un effettiva neutralità, che persegua verità e giustizia. Il perseguimento dell’interesse pubblico deve avvenire valutando e ponderando gli interessi in gioco, ossia l’interesse pubblico e quello privato, rendendo partecipe il cittadino all’attività che lo riguarda, con obbligo di reciproca collaborazione, improntata ai principi di correttezza e buona fede. Per Buona Fede s’intende un comportamento conforme a coscienza, verità e sincerità. Se l’attività della Pubblica amministrazione cagiona un danno al cittadino, alla lesione deve far seguito una sanzione al funzionario pubblico che l’ha cagionata. Quindi l’amministrazione finanziaria se rileva di aver cagionato un danno ha l’obbligo in virtù dell’istituto dell’autotutela di rimuovere l’atto lesivo. In alternativa al cittadino non rimane che l’autorità giudiziaria, per ottenere ristoro, risarcimento danni e danno esistenziale. La Legge 241/1990, la Legge 2121/2000 e la Legge 69/2009 sono utili guide per far valere i propri diritti. (L’imparzialità inoltre si estende anche all’imparzialità organizzativa, imponendo l’obbligo di reclutamento in base ai concorsi e non aggirando le norme e nominando persone di fiducia vicino a determinati partiti. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 37/2015 ha stabilito l’illegittimità delle nomine. Il Comitato di gestione dell’agenzia delle entrate aveva modificato l’art. 24 comma 2 del regolamento dell’amministrazione conferendo incarichi dirigenziali ai sensi dell’art. 19 comma 6 del Dlgs 165/2001, che in sostanza permetteva incarichi dirigenziali provvisori. Di fatto l’agenzia ha invece proceduto a conferire incarichi permanenti prorogando di anno in anno le nomine. Il Tar del Lazio ha ritenuto tale prassi illegittima, perché elusiva dell’obbligo i bandire concorsi pubblici per carica di dirigente e ha praticamente ritenuto abusivi tali dirigenti. Tar Lazio sentenza n.6884 sezione 2 del 01/08/2011). Ciò premesso, il pubblico funzionario non può e non deve infliggere una doppia sanzione al contribuente, se lo fa: viola il principio d’imparzialità. Inoltre il Codice di condotta delle Istituzioni dell’Unione Europea, stabilisce all’art.8 il principio di imparzialità basato sulle considerazioni sue esposte e all’art. 6 sancisce il principio della proporzionalità. Potrebbe mai essere proporzionale , l’aver inflitto più sanzioni al contribuente, obbligandolo senza ponderare gli interessi in gioco a difendersi sia in sede penale sia in sede tributaria, per la stessa violazione? Per completezza a mio parere è necessario stabilire in via preliminare, come applicare la normativo dell’unione europea, quando questi contrasta con la normativa nazionale. La Corte Costituzionale con la sentenza n.14/64, aveva ritenuta valida la normativa nazionale in contrasto con quella europea, salvo al responsabilità del governo nei confronti dell’unione europea. La Corte di giustizia europea con procedimento C-6/64, afferma completamente il contrario, la norma europea prevale su quella nazionale. La Corte Costituzionale con sentenza n.183/73 riconosce la prevalenza della normativa dell’unione su quella nazionale, ma vieta la diretta applicazione della stessa obbligando il giudice nazionale al rinvio alla Corte Costituzionale, della norma nazionale in contrasto. Interviene anche in questa occasione la Corte di Giustizia con procedimento C-106/77 sconfessando ancora una volta i giudici della Consulta, stabilendo l’obbligo da parte di Giudici nazionale di disapplicare direttamente la normativa nazionale in contrasto con le norme dell’unione come previsto dall’art.288 TUE. La Corte Costituzionale con sentenza 170/84 riconosce, come imposto dalla corte di giustizia europea con procedimento C-106/77 e come previsto dall’art.288 TUE, il potere dovere dei giudici nazionali di disapplicare direttamente la normativa nazionale in contrasto con le norme dell’unione. Con procedimento C-103/88 la Corte di Giustizia Europea, impone infine anche agli organi amministrativi dello stato e quindi anche ai funzionari e i dirigenti il potere dovere di disapplicare direttamente la normativa nazionale in contrasto con quella europea. La Corte Costituzionale con sentenza 389/89 assimila quest’ultimo principio. Su quest’ultima sentenza c’è a parere di chi scrive la soluzione a tutti i problemi che la Cassazione sta creando, non si condivide la tesi dei giudici della suprema Corte dell’obbligo di rinviare gli atti alla Corte Costituzionale in caso di sentenza della CEDU, perché testuali loro parole: “altrimenti che c’è a fare la Consulta?” Ciò premesso, Il funzionario pubblico e il giudice sono soggetti alla normativa comunitaria che la devono applicare entrambi direttamente!!! Senza aspettare, l’uno il giudice e l’altro la Corte Costituzionale. Con il ne bis in idem europeo, ossia il divieto di punire il cittadino comunitario con doppia sanzione, il funzionario pubblico deve essere diffidato con la L.241/90 ad adempiere, ossia a scegliere quale sanzione applicare, quella penale o quella tributaria, se non lo fa dopo tre raccomandate lo si può denunciare alla procura per omissione di atti d’ufficio. L’omissione può a parere di chi scrive anche costituire il presupposto per il ristoro del danno subito, ossia l’obbligo di affrontare due processi, uno tributario e l’atro penale. Lo scrivente azzarda una possibile soluzione premesso che con procedimento C-103/88 la Corte di Giustizia Europea, impone infine anche agli organi amministrativi dello stato e quindi anche ai funzionari e i dirigenti pubblici il potere dovere di disapplicare direttamente la normativa nazionale in contrasto con quella europea, principio assimilato dalla Corte Costituzionale con sentenza 389/89 , il contribuente potrebbe diffidare il funzionario dell’agenzia affinché applichi una sola sanzione, indicando magari quella più conveniente per il contribuente richiedente, in mancanza si potrebbe valutare un azione di responsabilità