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Il debitore non può essere vessato
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Il debitore non può essere vessato, Cass. SSUU n.23726/2007 e abuso del diritto e violazione del principio della buona fede oggettiva
Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che
deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale.
Il Fisco Italiano e il concessionario, spesso e volentieri vessano il contribuente, per lo stesso debito azionano più procedimenti, fermo, pignoramento presso terzi, intimazione, ipoteca, ricorrere ai principi di questa sentenza è un ottimo rifermento
Non è raro anche che nonostante il contribuente abbia rateizzato il debito, senza alcun giustificato motivo viene emesso il ruolo.
E’ chiaro che il sistema in base al quale, i dirigenti delle entrate e del concessionario, devono raggiungere dei budget e percepiscono percentuali sul ricavato, ha generato vessazioni e ingiustificate aggressione ai patrimoni dei contribuenti.
Con la pregevole Cass., SS.UU. 15 novembre 2007, n. 23726, i giudici della Suprema Corte hanno stabilito un principio di civiltà giuridica, il debitore non può essere vessato, Il frazionamento del rapporto sostanziale e quindi l’aggressione plurima al contribuente per lo stesso debito, che inesorabilmente si ribalta in sede processuale si pone in contrasto:
a) con l’art. 88 c.p.c., il quale va letto alla luce «della intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 della Costituzione»;
b) col principio del giusto processo accolto dall’art. 111 della Costituzione.
Tali principi costituiscono, una significativa difesa nel segno della lealtà e della lotta all’abuso (del processo).
Se da un lato è vero che il titolare di una posizione giuridica soggettiva è libera sul se attivare o meno la propria pretesa, libertà tutelata dall’ordinamento è pur vero che tale libertà ha subito una rilettura, resesi necessaria da continui comportamenti vessatori e di aggressioni gratuite, che hanno fatto nascere un nuovo istituto, l’abuso del diritto.
L’abuso del diritto, quindi, si presenta strettamente correlato ai principi di buona fede e di correttezza, quasi riportando il sistema alla definizione di Celso per cui il diritto era “ars boni et equi” ossia il diritto è l'arte di ciò che è buono ed equo, ed il suo oggetto avrebbe necessariamente dovuto tendere all’aequitas, ossia al raggiungimento della migliore soluzione possibile in concreto (e, aggiungiamo non contrastante, nemmeno indirettamente, con l’ordinamento ed i suoi principi
Nella sentenza Cassazione civile sez. III 18 settembre 2009 n. 20106 la Corte, definisce il principio della buona fede oggettiva, come reciproca lealtà di condotta, che deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476)
Cassazione civile , sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726
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